Concludiamo il lungo racconto-intervista raccolta da padre Pino Locati a colloquio con una donna nigeriana, trafficata da Benin City e costretta a prostituirsi sulle strade del Nord Italia
“Gli uomini quando arrivano, si fermano e vanno subito al dunque. Mi sono abituata a fare cose che non sapevo nemmeno esistessero ma altre mi sembravano troppo degradanti e contro natura per cui non ho mai accettato. Dio mi ha aiutata perché sulla strada ci sono uomini cattivi e duri, violenti e pronti picchiare e derubare. Salivo nella macchina e quando poi ne uscivo, ringraziavo Dio di essere ancora viva e la presenza di Dio in quei momenti era la mia forza. La violenza sessuale in macchina è molto brutta e ancora aggi non dimentico quanto avvenuto nei sottoboschi durante la notte”.
“Talvolta capita che l’uomo non sia da solo ma in due e più. A me è capitato una volta che fossero in cinque. Di notte tutto è possibile e non si vede nulla nell’oscurità. Sicuramente se Dio non fosse con noi ben poche sarebbero sopravvissute. Sono salita in macchina e mi sono resa conto che erano in cinque. Avevo paura ma ho fatto finta di nulla per non peggiorare la situazione e ho detto: “Ma che bello essere così numerosi! E adesso che facciamo?” La risposta è stata che dovevo avere un rapporto con ciascuno di loro, a turno. Ne ho subiti tre, il quarto ancora prima di cominciare a stuprami mi ha chiesto se io avessi il resto da dargli. Ho risposto: “Siete i primi clienti, sono qui da tutta la notte, ho preso freddo, i piedi sono congelati, non riuscivo più neanche a camminare e per questo me ne stavo vicino a un fuocherello”. Ma il quarto cliente insisteva perché io tirassi fuori i soldi e io rispondevo che non avevo il resto perché non c’erano stati clienti quella notte. Non avevo veramente i soldi e allora hanno cominciato a litigare tra di loro. Io ero senza abiti ma approfittando della loro confusione, ho preso la mia roba e, nuda com’ero, sono fuggita in mezzo al bosco. Che freddo! Ma mi sono salvata dal peggio! Ho cercato un posto dove vestirmi. Mi sono nascosta e più tardi, non essendoci clienti, sono tornata a casa.
“Quando l’inverno picchia forte, ci sono i papa-giro che ci danno una mano. Questi sono uomini che soffrono di turbe psichiche e di sentimenti di colpa, si sentono in dovere di aiutarci. Ci fanno fare un giro in macchina mentre ci scaldiamo, a volte ci accompagnano fino a casa, magari chiedendo sesso in cambio. Altre volte non chiedono nulla o addirittura ti fanno un regalino. Il papa giro, se tu non hai la macchina, ti accompagna anche fino al treno. Intanto fanno una chiacchierata con te perché anche loro hanno bisogno di uscire dalla loro solitudine”.
“Per quello che riguarda le tariffe, se mi devo spogliare completamente, i clienti pagano di più, fino a 50 euro e più. Se invece non ti spogli completamente, ti pagano meno, 20 euro ma anche 15. Poi dipende da come va il “mercato” sulla strada durante quei giorni o quella stagione. In tempo di crisi vanno bene anche 5 euro”.
“C’erano dei volontari che venivano sulla strada e ci aiutavano, ci portavano il the caldo. C’era l’associazione Melarancia che mi ha chiesto se volessi fare l‘esame a prova del sangue. Le mie amiche sono scappate via, io invece ho detto di sì, mi ha portato in ospedale per fare il test dell’AIDS e di altre malattie sessuali trasmissibili. Gli esiti sono stati negativi”.
“Quando arrivano i carabinieri, fanno svuotare la borsa ma non toccano nulla. Loro non guardano i nostri carnet o agende ma frugano per sapere se vi è la droga”.
“Non ho ricordi belli sulla strada, sulla strada la vita non è bella. Quando a Torino ero appena arrivata e talvolta la polizia faceva una retata, ci portava in questura. Vi erano anche i miei clienti che guardavano quanto stava per accadere. I poliziotti mi chiedevano se avessi fame. Rispondevo di sì e allora la polizia mi dava un panino con il tonno. Non mi hanno mai messo in carcere”.
“Una volta sono stata derubata sul treno senza che me ne accorgessi, dormivo. Non voglio più ricordare le violenze subite dalla madame magnaccia. Una volta ho rischiato perfino di perdere un occhio. Quella madame aveva sempre le unghie affilate e molto lunghe come una tigre e mi ha graffiato tutta la faccia perché le avevo portato i soldi in ritardo di un solo giorno! Dovevo consegnare i soldi al lunedì. Quella volta non avevo 1000 euro per consegnarle, mi mancava ancora un poco e che quindi aspettasse 24 ore.
Quando però sono entrata nella stanza, la madame ha chiuso la porta a chiave e mi ha assalito da dietro. Mi ha graffiato con rabbia tutta la faccia. Io ho consegnato i soldi ma dovevo tornare a Bergamo per andare sulla strada. Ma con quella faccia sporca di sangue era un problema! Sono uscita perché volevo farmi una foto ma non ho trovato nessun posto dove ci fosse una macchinetta e a quel tempo non c’erano gli smartphone. Al ritorno, la madame m ha detto di mettere della vaselina sulla faccia per nascondere un po’ le ferite. C’è voluto molto tempo per guarire da quei graffi selvaggi. Non ho altre ferite sul corpo”.
“Dopo 30 mesi, alla fine del 2001, ho terminato di pagare il debito e ho lasciato la strada. Non mi ricordo in quale mese, forse anche all’inizio del 2002. Ho pagato e la magnaccia mi ha lasciato partire. Ho cercato i documenti in questura con mio marito perché avevo iniziato con lui a fare la badante nel 2002. Il mio primo permesso di soggiorno era fino al 2003. Ho lavorato due anni a Grassobbio con un signore anziano. Ora è morto. Ho continuato poi con la sua signora. Partivo da Verdello alle 6 per restare da quella signora fino alle 20. È morta anche lei. Allora ho cominciato a cercare un altro lavoro”.
“Ho qui i quattro miei figli ora e una figlia lavora con me. Sono già nonna”. Mi mostra una foto dei figli e della casa in Nigeria. Si chiude il nostro lungo colloquio durato più di un’ora. Ho voluto lasciarle una busta con dei soldi per il tempo che mi ha dedicato ma non ha voluto. Mi ha sorpreso quella sua dignità di donna che ha difeso i propri diritti alla vita senza chiedere nulla in cambio! Usciamo in giardino, le faccio alcune foto e ci separiamo.