Riflessioni per l’ottobre missionario a cura di padre Arvedo Godina (parte prima)
In Italia per un periodo di vacanza ma con già in tasca il biglietto di ritorno, padre Godina, lecchese, 52 anni in Mali, Africa occidentale, ci offre qualche spunto personale per la riflessione in questo mese dedicato alla missione.
“Guidami, dolce luce, attraverso le tenebre che mi avvolgono. Guidami Tu, sempre più avanti! Nera è la notte, lontana è la casa: guidami Tu, sempre più avanti! Sempre più avanti! Reggi i miei passi: cose lontane non voglio vedere. Mi basta un passo per volta. Così non sempre sono stato né sempre ti pregai affinché Tu mi conducessi sempre più avanti! Amavo scegliere la mia strada, ma ora guidami Tu, sempre più avanti! Guidami, dolce luce! Guidami Tu, sempre più avanti!” (Cardinal Newman)
Carissimi amici,
quando ero a Koulikoro, in Mali, nel Seminario che abbiamo fondato nel 1971, in riva al Niger e andavo a fare un giro sul fiume con la piroga con gli amici Bozò, la passeggiata sull’acqua terminava sempre con la stessa frase. “Padre, la piroga si è posata sulla sabbia.” La mia piroga sta posandosi sulla sabbia. San Paolo direbbe: “E’ vicino il momento di sciogliere le vele.”
Sono ormai 52 anni che lavoro come missionario in Mali. Mi domando che cosa un vecchio missionario possa dirvi di nuovo sulla missione.
- La missione è gioia.
Gioia di vivere con il Signore che ci ha mandato e che ci invia: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi!” Gv 20, 21. Gioia di vivere con la gente che il Signore ha messo sulla nostra strada.
In prigione Paolo raccomandava la gioia alla piccola comunità cristiana della città di Filippi. “Rallegratevi nel Signore!” Fil 3,1 “Siate sempre allegri nel Signore. Ve lo ripeto: siate allegri!” Fil 4,4
Ai suoi discepoli che tornavano dal villaggio di Sichar dove erano andati a comperare un po’ di cibo, Gesù ha detto: ”Non dite voi: ancora quattro mesi e viene la mietitura? Ecco, vi dico: alzate i vostri occhi e osservate i campi. Sono bianchi per la mietitura. Già il mietitore riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, affinché il seminatore goda insieme al mietitore.” Gv 4, 35-36
L’8 dicembre 1975, il santo Padre Paolo VI – per il quale ho una grande venerazione poiché è lui che mi ha ordinato Sacerdote nel lontano 1962 – mandava la sua bellissima lettera che trattava del problema della Missione della Chiesa e scriveva:
“Conserviamo dunque il fervore dello spirito. Conserviamo la dolce e confortante gioia d’evangelizzare, anche quando occorre seminare nelle lacrime. Sia questo per noi – come lo fu per Giovanni Battista, per Pietro e Paolo, per gli altri Apostoli, per una moltitudine di straordinari evangelizzatori lungo il corso della storia della Chiesa – uno slancio interiore che nessuno, né alcuna cosa potrà spegnere. Sia questa la grande gioia delle nostre vite impegnate. Possa il mondo del nostro tempo, che cerca ora nell’angoscia, ora nella speranza, ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo, e accettino di mettere in gioco la propria vita affinché il Regno sia annunziato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo.”
Nei miei 52 anni di lavoro missionario in Mali, sono arrivato quando la Chiesa c’era già. Nata nel sangue dei Martiri perché le prime due carovane che avevano tentato di raggiungere Timbuctu attraverso il deserto erano state massacrate dalle loro guida, la prima nel 1876 e la seconda nel 1885.
Da noi in Mali non ho mai sentito nessuno che abbia detto che la Chiesa cristiana è arrivata nello zaino dei colonizzatori. La Buona Novella è giunta col sangue dei martiri e (durante parecchi anni) nonostante l’ostracismo dell’anticlericalismo francese.
Ma era una piccola pianticella che rischiava di morire à causa del clima politico, legato al socialismo di Mosca, a causa della partenza dei missionari europei, a causa della crisi di tutta la Chiesa. Eravamo nel 68. Giunto alla Missione di Kati, qualcuno mi ha detto: “Partiti voi missionari, la Chiesa non ha nessun avvenire in Mali!” Era un bravo cristiano che è ancora vivo oggi e che è tutto contento che la realtà è stata ben diversa dalle sue previsioni.
Non solamente è viva, ma è una Chiesa che testimonia la sua fede. E’ una Chiesa che si fa missionaria. Nel 1968, in Mali vi erano solamente 7 sacerdoti maliani. Ora sono più di 180. C’era un solo Vescovo maliano, Mons. Luc Sangaré, ora tutto l’Episcopato è maliano. I Seminari, i Noviziati, le Case di formazione sono tutte in mano ai maliani.
Molti laici cristiani sono impegnati. Hanno voluto anche fondare un settimanale di 8 pagine, intitolato “Missions” senza domandare nulla ai Vescovi se non la loro benedizione.
E la Chiesa, pur nella sua piccolezza (non siamo che il 2-3% della popolazione) porta una testimonianza vissuta di fede, di carità, di profezia.
Al sabato sera, verso le 21h.00, dopo il notiziario, la televisione nazionale ORTM ci dà quaranta minuti per parlare della nostra fede: venti minuti ai cattolici e venti minuti ai protestanti.
Da quando il Papa ha affidato al nostro Vescovo, il Cardinal Jean Zerbo, la Diocesi di Bamako, è stato fondato un Centro “Foi et Rencontre” dove cristiani e musulmani si incontrano, una volta al mese su dei temi ben precisi. I Missionari d’Africa hanno fondato l’IFIC, Istituto per la Formazione al dialogo tra cristiani e musulmani.
Abbiamo piena libertà di parlare, di annunciare Gesù Cristo, di accogliere nuove conversioni, di scrivere. Abbiamo piena libertà di predicare, di andare nei villaggi, di fondare le nostre associazioni.
Grazie a una convenzione con il Governo del 1974, il Governo paga circa il 60% dei salari dei maestri e professori delle nostre scuole cattoliche. Ciò non toglie la grande difficoltà per ricuperare il resto affinché le nostre scuole, dove più del 90% degli allievi non sono cristiani, possano continuare a dare testimonianza in tutto il paese.
La missione è gioia. Gioia di essere vicini alla gente, di vivere con loro. Quando mio fratello Franco è morto, due anni fa, un intero villaggio dove sono tutti musulmani hanno raccolto dei soldi e sono venuti a darmeli per celebrare una santa Messa per lui.
La stessa cosa per la morte di mia sorella Rita. La gente tutta mi ha dato un’offerta per celebrare la santa Messa e poi hanno voluto organizzare un pranzo come si fa quando Dio chiama a sé una persona anziana conosciuta e stimata da tutti.
Stare con la gente, aiutare gli ammalati, vivere le loro gioie e le loro angosce. La missione è vivere il mistero dell’Incarnazione, con umiltà e semplicità.