Padre Pino Locati raccoglie dalle labbra di una donna trafficata, Mary, la storia del suo viaggio da Benin-City a Torino
Oggi (mercoledì 24 gennaio 2018) è un pomeriggio d’inverno , ci troviamo in un ufficio molto lindo e dalle pareti imbiancate che riflettono la luce esterna del sole, Accomodato su una sedia ascolto la storia vera di Mary, nigeriana, oggi cinquantenne e giunta all’appuntamento in perfetto orario. Mary lavora a tempo pieno in un centro di accoglienza sociale nella bassa pianura della Lombardia. È una donna di statura media, molto socievole. Le piace parlare, il suo italiano è fluente anche se spesso devo fare uno sforzo per capire il significato delle sue parole talvolta biascicate o scorrette nella loro forma. Anche per rintracciare il percorso del suo viaggio, dovrò più tardi servirmi di internet e cercare di ricostruire il suo esodo dalla Nigeria che lei mi aveva indicato con i nomi sicuri di alcune nazioni dell’Africa Occidentale. Io le faccio qualche domanda breve che non trascrivo per non appesantire il testo e lei risponde come un fiume in piena. Devo spesso interromperla per precisare tempi, luoghi, itinerari.
Reclutamento e inizio del viaggio: da Benin-City a Conakry
“Sono originaria di Benin-City (= la capitale continentale delle ragazze trafficate sessualmente e fatte venire in Italia). Sono nata in ottobre a cavallo degli anni ’70. Ho lasciato la Nigeria nel 1998 e sono arrivata in Italia nello stesso anno ma non ricordo i mesi. Sono arrivata via terra, attraversando una sacco di paesi che non conoscevo, nove per l’esattezza, Mi sembrava di fare il giro del mondo. In Nigeria è stata una donna a intrappolarmi e farmi partire. Lei avrebbe pagato il viaggio con i soldi della donna magnaccia che dall’Europa aveva pagato il mio trasferimento. Non ho mai capito chi realmente fosse la vera donna magnaccia, diventata padrona della mia vita. Forse era quella che mi stava aspettando in Spagna o più probabilmente quella incontrata a Torino, devo ancora da scoprire la verità.
In Nigeria convivevo con un uomo e avevo già quattro figli. Allora passavano da noi alcune signore strane o certi uomini che indagavano sulle difficoltà economiche nelle famiglie per invogliare poi le ragazze e le donne già adulte a partire per il lungo viaggio verso l’Italia con le false promesse di un lavoro e di trovare soldi in fretta. Il mio convivente aveva una seconda donna più giovane, per cui la mia partenza non l’ha afflitto più di tanto. Io speravo di trovare un lavoro migliore in Italia come quello di badante o di donna delle pulizie. In Nigeria lavoravo in una scuola materna per cui mi ero abituata alle pulizie delle sale e degli edifici. In Italia avrei potuto guadagnare molti soldi e mantenere i miei quattro figli, Avrei potuto fare anche la baby-sitter o la badante, difatti quella signora che mi aveva adescato in Nigeria mi aveva detto di conoscere una signora in Italia che aveva bisogno proprio di una badante”.
“Mi hanno messo su un furgoncino con documenti falsi e da Benin-City abbiamo cominciato il nostro lungo viaggio prima verso sud-ovest passando per Lagos, entrando poi nel Benin. Ero assieme ad altre ragazze e con degli uomini ma tra di noi non parlavamo mai. Dal Benin siamo passati attraverso il Togo e quindi il deserto del Burkina e la terra secca del Mali e finalmente dopo giorni e giorni di viaggio, non mi ricordo più quanti, siamo giunti in Guinea-Conakry. Un viaggio allucinante per le strade difficoltose e i pericoli continui ai momenti di attraversare le frontiere. Ma chi aveva provveduto a farmi partire, mi aveva rifornito di parecchi documenti falsificati e quindi potevo presentami con uno di quei documenti a ogni passaggio di frontiera. Sono stata fortunata perché non sono stata né molestata né picchiata da nessun uomo, neppure dal magnaccia (= il trolley) che guidava la nostra spedizione o dai soldati di frontiera mentre alcune delle altre ragazze hanno cominciato a subire le prime violenze sessuali”. (Non escludo che Mary, essendo stata madre di quattro figli e non essendo più “carne fresca”, abbia ricevuto rispetto da parte degli uomini.)
Da Conakry al Marocco
“Dalla Guinea Conakry siamo proseguiti verso il Senegal, quindi la Mauritania per giungere in Algeria da dove siamo passati in Marocco. Ricordo il deserto dappertutto e una sete infinita. Siamo arrivati ai piedi di una montagna coperta da un bosco molto fitto che avremmo dovuto attraversare malgrado non ci fossero dei sentieri e non ci fosse neppure un po’ di luce lunare a illuminare i passi attraverso quel fitto fogliame. Dovevamo andare fino in cima dove una luce si accendeva e si spegneva. Entrare in quel bosco era veramente un’impresa, dovevamo rompere con le nostra braccia rami frondosi, sollevare le gambe per oltrepassare erbe alte o fogliame spinoso. Ci siamo scorticate per bene durante quelle ore notturne. Ci siamo coperti con abiti scuri e molte paia di calze per non farci male ai piedi, anche perché le nostre scarpe o ciabatte non erano adatte. Eravamo almeno in sette a salire ma ciascuna seguiva il proprio sentiero che aprivamo con le nostre mani. Ognuno lottava per se stesso. La guida ci aveva detto di guardare quella luce che si accendeva e di salire verso quella luce. Alla fine avevamo capito che quella luce veniva da una torre di guardia. Abbiamo dovuto comunque proseguire oltre quel bosco e inoltrarci su un sentiero che saliva ancora di più verso un cresta e superare una montagna. Il pericolo era di scivolare e di cadere all’indietro e saremmo precipitati rischiando di rimanere feriti o anche di morire. Alla fine della discesa abbiamo finalmente incontrato una donna magnaccia che ci attendeva all’alba con le mani incrociate: quelle sue mani incrociate erano il segno che era lei che ci avrebbe fatto da guida per continuar il viaggio in Marocco. Eravamo giunti ad Assa (nella regione sud), una cittadina circondata dal deserto e da aspre montagne. Ci hanno collocato nelle tende fuori dalla città. Dopo due giorni mi hanno fatto ripartire, da sola. (= probabilmente per lo stesso motivo detto sopra: Mary non era carne fresca da dare in pasto a qualche marocchino del posto). La magnaccia non voleva che io mi attardassi in quelle tende forse anche per evitare dei possibili controlli.”.
Dal Marocco alla Spagna
“Ho proseguito con altre persone e più a nord ci siamo fermati, rimanendo per tre mesi nascosti in casa che assomigliava a un bunker. Potevamo uscire talvolta solamente vestite come le donne musulmane del deserto, interamente ricoperte dalla testa ai piedi, ma non andavamo a comprare il cibo perché non avevamo i soldi. Piuttosto abbiamo osato mendicare il cibo. Abbiamo trovato un bravo macellaio marocchino da cui andavo a nome di tutti gli altri e lui ci dava le teste e le zampe di gallina che i marocchini non mangiano. Con quelle preparavamo un brodo che era saporito e a noi andava bene così. Alla fine dei tre mesi, eravamo in riva al Mediterraneo, di fronte alla Spagna e una notte, poco dopo mezzanotte, abbiamo preso una barca quasi invisibile nella notte scura e abbiamo attraversato lo stretto di Gibilterra. Il mare era calmo e una volta approdati sulla costa iberica una macchina ci aspettava per condurci a Madrid. Un’altra donna magnaccia ci ha accompagnato fino a destinazione. Sarà forse stata lei quella che aveva pagato il mio viaggio?”